domenica 31 gennaio 2010

Royal Society, 350 Anni Di Storia Della Scienza Online

trailblazingCari ragazzi e cari lettori, il 30 novembre scorso il sito ufficiale della Royal Society  pubblicava  l'articolo "Royal Society: Past, Present, and Future", di cui riporto l'introduzione:


"The gruesome account of an early blood transfusion in 1666, Isaac Newton’s landmark paper on light and colour, Watson and Crick’s description of the evidence for the structure of DNA, and Stephen Hawking’s early writing on black holes in space are just some of the highlights of a new interactive timeline launched today (Monday 30 November) to celebrate the 350th anniversary year of the Royal Society."



L'articolo annunciava il lancio di Trailblazing, una nuova timeline  interattiva, per festeggiare  il 350° anniversario della Royal Society.

Di seguito, per voi, la mia traduzione dell'articolo citato.

Trailblazing "racconta" episodi quali, per citarne alcuni, la raccapricciante descrizione della prima trasfusione di sangue nel 1666, il paper di Isaac Newton, punto di riferimento sulla luce e i colori (leggere la lettera di Newton*. Da brivido! Inciso mio e link scovato da me su Phil. Trans., e scaricabile da oggi!), la descrizione di Watson e Crick circa la struttura del DNA, e il primo documento scritto da Stephen Hawking sui buchi neri.

La timeline offre per la prima volta l'accesso pubblico ai più influenti e intriganti documenti pubblicati dalla Royal Society nel corso degli ultimi 350 anni, compresa la famosa Philosophical Transactions (Phil. Trans.), la più antica rivista scientifica pubblicata al mondo.

Eminenti scienziati e storici hanno scelto 60 articoli  tra i 60.000, pubblicati dopo che la rivista iniziò la sua opera divulgatrice, con il suo primo numero nel lontano 1665.  Trailblazing rende disponibili online i manoscritti originali, corredati da spiegazioni affascinanti, fornite da esperti dei nostri giorni che stanno continuando il lavoro di giganti della Scienza, come Newton, Hooke, Faraday e Franklin,  e rendendo vitali i nuovi risultati del proprio lavoro in aree come la genetica, la fisica, i cambiamenti climatici e la medicina.

I 60 documenti includono:

- il racconto raccapricciante della prima trasfusione di sangue (1666);
- la spiegazione del capitano James Cook su come protesse il suo equipaggio dallo scorbuto, a bordo della HMS Resolution (1776);
- i primi scritti di Stephen Hawking sui buchi neri (1970);
- l'esperimento di Benjamin Franklin sul volo di un aquilone durante una tempesta per identificare la natura elettrica del fulmine - The Philadelphia Experiment (1752);
- il paper di Sir Isaac Newton in cui si descrive la natura della luce e dei colori (1672);
- uno studio scientifico sul giovane Mozart, che lo conferma come un genio musicale in erba (1770);
- la scoperta in una grotta dello Yorkshire di resti fossili di elefante, tigre, orso e iena, che annuncia lo studio di tracce di vita del tempo remoto (1822).

Martin Rees, presidente della Royal Society, ha dichiarato:

 "I documenti scientifici su Trailblazing rappresentano una incessante ricerca da parte degli scienziati nel corso dei secoli, molti di loro "Fellow" della Royal Society, per testare e sviluppare le nostre conoscenze del genere umano e l'universo. Individualmente essi rappresentano quei momenti emozionanti grazie ai quali la scienza ci permette di capire meglio e di vedere oltre.

E ancora:

"Per l'inizio del suo 350° anniversario, la Royal Society non celebrerà con orgoglio soltanto la sua storia, ma  guarderà al futuro della scienza nel Regno Unito e nel resto del mondo, poiché le grandi questioni scientifiche poste dai nostri predecessori sono rapidamente sostituite da nuove e urgenti sfide scientifiche. Durante tutto l'anno, la Royal Society metterà in atto un coinvolgente programma nazionale di eventi e attività, anche in collaborazione con altre istituzioni scientifiche e culturali, per ispirare gli scienziati, le famiglie, i giovani e i membri del pubblico interessato, a vedere il futuro della scienza."

Gli eventi dedicati alla celebrazione dell'anniversario comprenderanno un festival della scienza di nove giorni al Southbank Centre (che incorpora l'annuale Royal Society Summer Science Exhibition e la prima nel Regno Unito del Brian Green and Philip Glass’s Icarus a the Edge of Time, oltre a una serie di altri eventi culturali che integrano le scienze e le arti). Inoltre, la Royal Society collaborerà anche con musei, gallerie d'arte e altre istituzioni, sia a Londra che in tutto il Regno Unito, per celebrare la scienza e gli scienziati. Altri elementi del programma dei festeggiamenti prevedono l'apertura del nuovo Kavli Royal Society International Centre for the Advancement
of Science (Centro Internazionale per l'Avanzamento della Scienza), un libro che racconta la storia della scienza e della Royal Society, e  riunioni all'avanguardia scientifica sulle maggiori sfide della scienza per il futuro .

L'arduo compito di selezionare i 60 documenti per Trailblazing è stato svolto da un piccolo gruppo di scienziati, divulgatori e storici, presieduto dal professor Michael Thompson FRS, lo stesso che ha diretto la Phil. Trans. per molti anni.

Il professor Thompson ha dichiarato:

"E stata una grande emozione per tutti noi, selezionare gli articoli per la loro novità, l'importanza scientifica e spesso, semplicemente, per le loro implicazioni divertenti. Nello svolgere tale compito, abbiamo dovuto mantenere un equilibrio tra le discipline (astronomia, biologia, chimica, scienze della terra, matematica, fisica e ingegneria), districandoci in una moltitudine di nomi che sono icone per la scienza (Isaac Newton, Stephen Hawking, ecc.) L'obiettivo è stato di "preparare un piatto"  stuzzicante e gustoso per gli scienziati di oggi, per il grande pubblico e, naturalmente, per i giovani che saranno gli scienziati di domani."

Fine della traduzione!

La notizia è rimbalzata nella blogosfera internazionale. Di seguito i link ad alcune citazioni prestigiose, da:

BBC News

The Telegraph. co.uk

ZDNet Education

The Guardian.co.uk

Reuters

*
Lettera che Newton spedì all'editore della Cambridge University Press nella strana data del 6 febbraio 1671/72? L'incertezza dell'anno dipende dal fatto che, dal XII secolo fino al 1751, l'anno legale in Inghilterra terminava il 25 marzo dell'anno successivo, quindi il febbraio 1672 era ancora a Londra e dintorni il 1671.

Concludo il post, segnalando, con un giorno di ritardo, l'uscita del Carnevale della Fisica #3, sul blog di Gianluigi Filippelli.
Nei paesi di lingua spagnola il carnevale è ospitato questo mese dal blog Leonardo da Vinci.

La quarta edizione sarà ospitata
da Corrado Ruscica su AstronomicaMentis.

Troverete tutte le indicazioni su Gravità Zero.


E adesso, lo screenshot della home di Trailblazing.



venerdì 29 gennaio 2010

Thomas Kuhn E La Struttura Delle Rivoluzioni Scientifiche

Cari lettori,  dopo Karl Raimund Popper: Scienza E Filosofia, pubblico un secondo interessante articolo del professor Enrico Rubetti (Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Facoltà di Filosofia), che me lo ha cortesemente inviato.

L'articolo tratta di
Thomas Samuel Kuhn (Cincinnati, 18 luglio 1922 – Cambridge, 17 giugno 1996), storico della scienza e filosofo statunitense. Egli fu un epistemologo che scrisse vari saggi di storia della scienza, sviluppando alcune fondamentali nozioni di filosofia della scienza. Formulò un' epistemologia alternativa a quella dell' empirismo logico e di Karl Popper, suoi principali bersagli polemici.



**********



Kuhn

Thomas Kuhn e la struttura delle rivoluzioni scientifiche



A cura di Enrico Rubetti



1.  Dall’empirismo logico alla nuova epistemologia.

Prendere atto dell’avvento di una “nuova epistemologia scientifica” significa ripensare la Scienza e le sue rivoluzioni.
Oltre al superamento di una visione puramente logico-formale delle teorie scientifiche – gli empiristi logici si sono dimostrati troppo “razionalisti” e poco attenti ai “fatti” della scienza – e a una revisione del rapporto fra teoria ed esperienza, nella quale si tende ad affermare un primato della teoria – cioè il ragionamento ipotetico-deduttivo rispetto ai dati forniti dall’esperienza –, la nuova epistemologia si caratterizza soprattutto per la grande rilevanza assegnata alla dimensione storica che coinvolge le teorie scientifiche, le concezioni culturali e filosofiche di un’epoca, i contesti storico-sociali e culturali in cui quelle teorie vengono alla luce. Si fa più vivo dunque l’interesse per il mutamento delle teorie scientifiche e l’attenzione rivolta alla storia della scienza, alla storia delle teorie, soprattutto ai momenti di rottura epistemologica, di transizione e di passaggio da una teoria all’altra, cioè le cosiddette “rivoluzioni scientifiche”.
L’idea di una più stretta connessione fra saperi scientifici e saperi extrascientifici (etici, estetici, metafisici, etc.) assume un ruolo fondamentale nella tendenza a delineare una visione pluralistica (in taluni casi relativistica) del sapere.

L’attacco all’ortodossia che la nuova epistemologia muove intorno alla questione delle rivoluzioni scientifiche, consiste nella critica della convinzione che la storia della scienza si sviluppi con continuità e che le teorie precedenti confluiscano in quelle successive. I neopositivisti, attenti quasi esclusivamente alla logica della scienza, sembravano avere tacitamente accolto il modello “evolutivo” e “continuistico” (di ispirazione illuminista e positivista) di un avanzamento graduale, progressivo e lineare delle conoscenze, come se queste costituissero un patrimonio che si accresce per accumulazione, secondo una concezione appunto cumulativa della scienza.

A tale modello, pertanto, viene a contrapporsi quello della competizione fra le teorie, da cui deriva la convinzione che la sostituzione di una teoria con l’altra avvenga attraverso passaggi “rivoluzionari”, veri e propri momenti di “rottura”.
Inoltre, grazie anche al nuovo scenario teorico rappresentato dall’elaborazione di Popper, è radicalmente messa in discussione la tesi neopositivista dell’indipendenza degli enunciati osservativi, dei quali sarebbe stato immediatamente possibile accertare la verità. Si afferma, invece, la tesi secondo cui «l’interpretazione di un linguaggio osservativo è determinata dalle teorie che usiamo per spiegare ciò che osserviamo e cambia non appena cambiamo quelle teorie» (Paul Feyerabend).


2.  Pluralità e incommensurabilità delle teorie.

Il primato della teoria sull’esperienza significa anche che il modo con cui guardiamo alle cose, le osserviamo e le descriviamo, dipende dai nostri modelli di “lettura” del mondo e dai problemi di cui cerchiamo la soluzione. In questo senso la nuova epistemologia mette in discussione un altro presupposto fondamentale del neopositivismo e cioè la fiducia in un “modello” di scienza e di metodo scientifico, generale ed univoco.

Viene così esplicitamente negata l’unità della scienza: si afferma che del mondo si possono dare una pluralità di rappresentazioni diverse e incommensurabili. Ma se si ammette una pluralità di concezioni scientifiche, come è possibile stabilire quale delle teorie a confronto sia più valida e accettabile? Sembra molto difficile, se non impossibile, stabilirlo, dato il fatto che esse rispondono a problemi diversi e hanno molti altri elementi non confrontabili. Pertanto, al contrasto e alla controversia viene attribuita molta importanza, perché ad essere riconosciuto come valido, “vero”, è ciò che vince nella controversia.
In tal modo una nozione assoluta di verità viene esclusa dal campo scientifico, sostituita dal confronto e dalla competizione fra teorie diverse. Da qui si può giungere, quasi direttamente, a una conclusione relativistica, caratteristica dell’irrazionalismo a cui sembrano condurre queste concezioni epistemologiche, non esenti da critiche e preoccupazioni crescenti.


3.  Il sistema paradigmatico.

Insieme ad Imre Lakatos e a Paul K. Feyerabend, Thomas S. Kuhn è uno dei più noti epistemologi post-popperiani, che sono venuti sviluppando le loro teorie della scienza sempre a più stretto contatto con la storia della scienza. Al centro degli interessi di Kuhn, in particolare nella sua opera La struttura della rivoluzioni scientifiche (1962), è la storia della scienza non solo come studio specialistico, ma come mezzo particolarmente efficace per comprendere le stesse strutture della scienza. Tale studio richiede una metodologia specifica, autonoma rispetto a quelle della storiografia tradizionale e della filosofia della scienza.

Il problema principale per il filosofo, come per altri epistemologi suoi contemporanei, è quello della “rivoluzione scientifica”. Ma le rivoluzioni scientifiche non sorgono in base a verifiche (come pensavano positivisti e neopositivisti) e neppure in base a una o più falsificazioni (come pensava Popper), bensì con la sostituzione di un paradigma all’altro. 
Ma che cos’è un paradigma?

«Con tale termine – dice Kuhn – voglio indicare conquiste scientifiche universalmente riconosciute, le quali, per un certo periodo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che praticano un certo campo di ricerca». In altre parole il filosofo, servendosi di questo concetto, vuole indicare una struttura composita, formata da credenze e assunti metafisici, oltre che da modelli scientifici di spiegazione. Si tratta di un complesso di principi, concezioni culturali e scientifiche universalmente riconosciute, procedimenti metodologici, modalità di comunicazione e trasmissione delle teorie, a cui si ispira il lavoro della “comunità scientifica” di una data epoca. Esso è strettamente ancorato a condizioni e a fattori extrascientifici, cioè sociali e psicologici, e non è quindi un modello “puro”, astorico e astratto.

L’astronomia tolemaica (o quella copernicana), la dinamica aristotelica (o quella newtoniana) sono esempi di paradigmi: lo studio di tali paradigmi «prepara lo studente a diventare membro della particolare comunità scientifica con la quale più tardi dovrà collaborare». Su questa linea, al concetto di paradigma Kuhn collega quello della comunità scientifica, costituita da coloro che, possedendo un paradigma comune, condividono un insieme di valori scientifici ed etici, hanno in comune criteri di giudizio, problemi, modelli interpretativi (anche di tipo metafisico), metodi e vie di soluzione per risolvere quei problemi e concordano, infine, sulla necessità che i loro successori siano educati in base agli stessi contenuti e valori.


4.  Scienza normale e scienza straordinaria.

È l’accettazione di un paradigma, dunque, a costituire e a definire la comunità scientifica, la quale, all’interno degli assunti paradigmatici, effettuerà quella che Kuhn chiama scienza normale: «una ricerca stabilmente fondata su uno o più risultati raggiunti dalla scienza del passato, ai quali una particolare comunità scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costituire il fondamento della sua prassi ulteriore». E questa prassi ulteriore sta nel tentare de realizzare le promesse del paradigma, determinando i fatti rilevanti (per il paradigma), confrontando i fatti con la teoria, e articolando la teoria stessa. Tale procedimento è finalizzato a risolvere una massa crescente di “rompicapo” (o Puzzles), ossia problemi teorici irrisolti, per formulare leggi quantitative che articolano ulteriormente il paradigma. L’attività di ricerca è essenzialmente cumulativa, si svolge mediante una raccolta di dati e una loro catalogazione entro schemi prefissati. La scienza normale è dunque un’impresa conservatrice.

Tuttavia la ricerca scientifica mette continuamente in luce fenomeni nuovi ed insospettati. Ciò accade per la ragione che, ad un certo momento, la comunità scientifica prende coscienza di un’anomalia, di un problema che sfida gli assunti centrali del paradigma e che costringe la comunità degli scienziati a sostituire il vecchio paradigma con un altro: questa è una rivoluzione scientifica, che si attua mediante la scienza straordinaria. Gli scienziati, di fronte alla massa di rompicapo che non riescono a risolvere con l’applicazione di quel paradigma, mettono in dubbio i principi fino a quel momento seguiti e accettati come “dogmi”, e vanno alla ricerca di un paradigma nuovo, incommensurabile (o “incompatibile”) con quello precedente.

Non vi può essere confronto tra i due paradigmi, perché a seconda del quadro teorico muta il significato attribuito alle osservazioni empiriche e agli esperimenti che dovrebbero confermare o falsificare il modello in questione.


5.  Il passaggio da un “paradigma” ad un altro “paradigma”.

I tempi di una rivoluzione possono anche essere lunghissimi. Ma quando essa avviene è come se si entrasse in un nuovo mondo: «quando mutano i paradigmi, il mondo stesso cambia con essi». È il paradigma, il punto di vista, il quadro concettuale, il “mondo”, a risultare mutato. Occorre quindi ripensare tutto: concetti-base, metodi, problemi. Un abisso di incomprensione si spalanca fra i sostenitori di due paradigmi differenti. Non ci si comprende più, non si comunica più. Si hanno concezioni del mondo diverse, anche metafisiche diverse.

Il passaggio da un paradigma all’altro segna una trasformazione del modo di vedere le cose. I dati che si hanno a disposizione sono magari gli stessi di prima, eppure vengono interpretati in modo diverso, cioè vengono posti in una relazione diversa da quella precendente. Inoltre il passaggio non sempre avviene per ragioni empiriche o logiche; possono esservi delle ragioni extrascientifiche e non razionali: ad esempio idiosincrasie tra scienziati, appartenenza a scuole scientifiche di nazioni diverse, persino ragioni estetiche diverse (il fatto che una soluzione appaia più “semplice” ed “elegante”).

Il nuovo paradigma affermatosi viene progressivamente esteso a ogni disciplina e ad ogni campo del sapere, determinando un nuovo periodo di “scienza normale”: fino al momento in cui anche tale paradigma genererà anomalie e rompicapi, e solleciterà la sua sostituzione.
Ogni teoria non va studiata e considerata a sé, o in relazione al suo grado verificabilità o falsificabilità, ma solo in riferimento al paradigma in cui entra. Esso costituisce il suo ambito di validità, che non è assoluto ma relativo.


6.  Il progresso ateleologico della scienza.

Il passaggio da un paradigma ad un altro comporta un progresso? Certo, quando un paradigma si è affermato, i suoi sostenitori guarderanno ad esso come a un progresso; ma, si chiede Kuhn, progresso verso cosa? Il processo che si vede nell’evolversi della scienza è un processo di evoluzione a partire da stadi primitivi, ma questo non significa che tale processo porti la ricerca sempre più vicina alla verità o verso qualcosa.

«Ma è poi necessario – egli si chiede – che esista un tale scopo?». È veramente d’aiuto immaginare che esista qualche completa, oggettiva, vera spiegazione della natura (e forse della realtà) e che la misura appropriata della conquista scientifica è la misura in cui essa si avvicina a questo scopo finale?
Di fronte a tali irrisolvibili quesiti, il carattere provvisorio delle teorie scientifiche proposto da Popper e da Kuhn, e la conseguente coscienza di una sostanziale indeterminabilità (o “vacuità”) che permea il nostro universo dimensionale, conducono quasi direttamente a una concezione relativistica della realtà. E come nell’evoluzione biologica, così nell’evoluzione della scienza, ci troviamo davanti ad un processo che si sviluppa costantemente a partire da stadi primitivi, ma che non tende verso nessuno scopo.


7.  Conclusioni: un confronto con Popper e Lakatos.

Secondo Kuhn, i manuali scientifici mascherano la crescita della scienza per rivoluzioni. In tal senso, una delle critiche principali che egli rivolge al sistema delle «confutazioni» popperiane consiste nel fatto che esse, all’interno della storia della scienza, possono spesso sembrare «parti normali di un processo di sviluppo». Ciò significa che una particolare teoria, elaborata da un gruppo localizzato di specialisti, viene abbandonata così rapidamente da non indurre nella comunità scientifica il senso di una crisi generale; e allora ne consegue che, rispetto alla teoria kuhniana, quelle che dovrebbero essere grandi rivoluzioni vengono talora rappresentate come innocue correzioni di idee precedenti. Kuhn si scaglia quindi fortemente contro la tendenza, diffusa fra gli scienziati e tra gli stessi autori dei manuali, a fare apparire la storia della scienza come un processo lineare e cumulativo. E per questo col suo metodo finisce per prospettare una combinazione tra storia disciplinare e storia delle idee, in base alla quale gli insiemi di convinzioni, concetti, teorie e metodi rientrano nell’idea, più ampia e articolata, di «paradigmi», i quali a loro volta contribuiscono a dare una struttura unitaria alla molteplicità apparentemente disarticolata dei risultati che di volta in volta sorgono dal progresso scientifico.

Perciò da un lato tali «risultati» saranno sufficientemente nuovi per attrarre uno stabile gruppo di seguaci – studiosi, ricercatori e sostenitori di tali idee –, distogliendo da forme di attività scientifica contrastanti con essi, e dall’altro saranno sufficientemente aperti da lasciare al gruppo di scienziati costituitosi su queste nuove basi la possibilità di risolvere problemi di diversa natura. Poiché se è vero che una rivoluzione consiste precisamente nel passaggio – o nello slittamento radicale – da un paradigma a un altro, allora il concetto stesso di «paradigma» mette in luce che i mutamenti scientifici d’ogni sorta – incluse le rivoluzioni – non sono il risultato di una lotta di idee, bensì di una lotta fra gli scienziati che accettano certe idee o credono in esse.

Questo aspetto psico-sociologico della metodologia di Kuhn si fa sentire maggiormente quando egli sostiene che le rivoluzioni sono in generale caratterizzate dalla crisi di una «tradizione di ricerca», e questo proprio perché un paradigma non è semplicemente un’idea innovativa che sfida la conoscenza di sfondo, ma un’idea incarnata in uno o più testi sui quali si formano generazioni di ricercatori. Infatti, ad esempio, Kuhn mostra come la «rivoluzione copernicana» trascenda Copernico stesso, in quanto è l’adozione graduale delle tesi copernicane e l’esplicitazione di esse – ciò che aumenta la loro rilevanza all’interno della comunità scientifica – a far sì che il De rivolutionibus venga individuato come il testo originario da cui è scaturita la tradizione detta «astronomia copernicana».

Ma qui subentra un problema: è proprio la ricognizione dei testi e dei manuali – detta anche «
criterio del libro» – che spiega il fenomeno della «invisibilità delle rivoluzioni». Solitamente, dice Kuhn, i manuali mirano a informare rapidamente lo studente su quello che la comunità scientifica di una data epoca pensa di sapere, sicché la deformazione che essi inducono nel lettore consiste nel dare l’impressione che anche i ricercatori che hanno operato prima dell’avvento di quel particolare paradigma abbiano rivolto i loro sforzi verso gli argomenti particolari che in tale paradigma sono stati incorporati. E così nasce lo stereotipo della scienza come «sapere cumulativo», ciò che propriamente secondo Kuhn maschera la crescita della scienza per rivoluzioni.

Alla luce delle accuse ricevute per via della questione sull’«
incommensurabilità delle teorie» – ossia dell’incompatibilità di significato e di riferimento tra teorie appartenenti a diversi (e dunque contrastanti) paradigmi; il che desterebbe forti perplessità, soprattutto con l’insinuarsi di un «relativismo» che minerebbe la coerenza metodologica dell’epistemolgia kuhniana –, e per spiegare il suo dissenso da Popper, Kuhn mostra – attraverso il suo cosiddetto argomento «anatra-coniglio» – come non si possano capire né la scienza né lo sviluppo della conoscenza se si considera la ricerca esclusivamente attraverso le rivoluzioni che essa occasionalmente produce.

 Ad esempio, benché il controllo degli impegni di fondo abbia luogo soltanto nella scienza straordinaria, è la scienza normale a scoprire sia i punti da controllare sia le modalità di controllo. Perciò, in tal senso, è proprio l’abbandono del «discorso critico» – quello della scienza straordinaria – che segna la transizione a una nuova scienza (normale). Tuttavia, Kuhn non identifica la sue «
esperienze anomale» – che segnano il passaggio dalla scienza normale a quella straordinaria, nonché il salto da un paradigma a un altro – con le «esperienze falsificanti» di Popper.

Per Kuhn, nessuna teoria – in senso popperiano, ossia l’insieme degli asserti falsificabili – risolve mai tutti i «
rompicapo» in cui si imbatte. Ci sono, in realtà, pretese esperienze falsificanti che non solo non ostacolano la pubblicazione dell’opera del «fondatore» di una data teoria scientifica, ma nemmeno vengono prese immediatamente in considerazione dai suoi seguaci. Inoltre, le soluzioni proposte ai problemi che affrontano una data teoria sono spesso insoddisfacenti; ma sono proprio l’incompletezza e l’imperfezione dell’accordo esistente tra dati e teoria che, in un certo momento, definisco molti dei rompicapo che caratterizzano la scienza normale – per questo per lo storico sarebbe davvero poco interessante ricercare se una teoria abbia o no conseguito un accordo perfetto coi fatti pertinenti. Si supponga allora, conclude Kuhn, che sia sufficiente un qualsiasi insuccesso per abbandonare una teoria: tutte le teorie dovrebbero venire abbandonate a ogni momento.

Per poter falsificare una teoria occorrerebbe dunque in qualche modo indicare i margini di errore tollerabile. Diversamente stanno invece le cose quando due o più teorie vengono considerate collettivamente; allora e solo allora sarà legittimo chiedersi quale di due teorie determinate e in competizione fra loro si adatti meglio ai fatti. Su una cosa Kuhn e Popper si trovano d’accordo: una buona teoria non andrebbe confutata troppo presto, prima cioè che abbia ottenuto un pieno successo.

Lakatos, invece, non diversamente da Kuhn, rileva che in genere le teorie scientifiche nascono e crescono in un «oceano di anomalie». Tuttavia, egli non pretende di fornire criteri che consentano di affermare istantaneamente che una teoria isolata è falsificata, anzi: basterà limitarsi a prendere in considerazione una serie di teorie, dove ciascuna nuova teoria ha un contenuto empirico addizionale rispetto a quella che la precede: tale serie sarà allora «teoricamente progressiva», e sarà inoltre «empiricamente progressiva» se parte del suo contenuto empirico addizionale è anche corroborato. Così, una teoria T è migliore di una rivale T*, se riceve un sostegno addizionale da più fatti e questa condizione è soddisfatta sia che sia confutata oppure no.

Per il falsificazionismo metodologico «sofisticato» di Lakatos non esiste dunque una «razionalità istantanea» – come per il falsificazionismo «ingenuo» –, ovvero non si abbattono le teorie in modo netto e radicale. La razionalità della scienza è piuttosto un processo di lungo periodo; e i cosiddetti esperimenti cruciali sono «cruciali» solo col senno di poi, ossia retrospettivamente.

Lakatos esprime inoltre la necessità di inventare opportune «ipotesi ausiliare» che formino una cintura protettiva, di stampo «popperiano», attorno ad un nucleo «kuhniano». Ciò significa che la sua metodologia di ricerca dei programmi scientifici non vuole postulare una sorta di «monopolio» da parte di un unico paradigma entro un dato dominio disciplinare; piuttosto essa pone l’accento sulle successive trasformazioni di un punto di vista pur restando immutato il nucleo che garantisce l’unità profonda delle teorie in cui si articola il programma. E la «cintura», composta da ipotesi ausiliarie, teorie osservative, condizioni iniziali, etc., finisce col sostenere «l’urto dei controlli» per mezzo di continui adattamenti e modifiche che conducono a varianti – o approssimazioni, pur sempre «confutabili» – del programma.

In conclusione, da un punto di vista metodologico dei programmi di ricerca scientifici, è possibile mostrare, a mio parere, come il programma di Copernico sia migliore di quello di Tolomeo, proprio perché esso non costituisce – almeno in parte – una decisiva rottura col passato che apre la strada ad un nuovo paradigma del tutto incommensurabile con quello precedente. In realtà, il sistema copernicano compie un passo indietro, prendendo nuovamente le mosse dall’antica ipotesi eliocentrica, sostenuta già dai pitagorici e da Aristarco di Samo. La crescente difficoltà di accordare l’ipotesi geocentrica di Tolomeo – che ormai da secoli si era ipostatizzata senza preoccuparsi troppo di render ragione delle «teorie osservative» sulle quali si fondava – con l’effettiva osservazione dei fenomeni celesti, aveva indotto Copernico ad una significativa rivalutazione della tradizione eliocentrica, la quale veniva posta in stretta relazione con i nuovi «mezzi di osservazione» messi a disposizione dalla sua epoca.

Per Copernico, dunque, non si trattava semplicemente di riconsiderare l’eredità tolemaico-aristotelica sulla base dei fenomeni osservati o del principio della «relatività del moto», bensì di «ricostruire» le ipotesi anche in riferimento ad un preciso «sfondo teorico» – ossia quello della teoria eliocentrica –, che sarebbe poi stato sottoposto al controllo empirico dei fenomeni osservati non tanto per accertarne il grado di «falsificabilità», quanto per vedere se tale metodo avrebbe portato ad un effettivo accrescimento della conoscenza scientifica. E nonostante ciò Copernico accettava diversi aspetti della già consolidata teoria geocentrica – come l’esistenza delle sfere celesti e la finitezza dell’universo delimitato dal cielo immobile delle stelle fisse –, la quale a suo tempo aveva invece assertivamente scartato, almeno sul piano metodologico, ogni possibile obiezione.

giovedì 28 gennaio 2010

22 Questioni Sull'Evoluzione Per Roberto De Mattei

darwinCari lettori, è questione  ben nota, tristemente per la Scienza, il "caso De Mattei" e il convegno creazionista e antievoluzionista, intitolato “Evoluzionismo: il tramonto di un ipotesi”, organizzato improvvidamente, nella sede romana del CNR, il 23 febbraio 2009, dal vicepresidente Roberto de Mattei, designato a tale carica – con delega per le Scienze umane – nel 2004,  dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, su proposta dell’allora ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Letizia Moratti.

Su
UAAR Ultimissime, si legge:

La bassa levatura scientifica (anzi il netto profilo ascientifico) del convegno è ben evidente. Basti a titolo d’esempio l‘avere sostenuto, da parte di de Mattei, che l’evoluzionismo «era nato come un movimento di rifiuto della Creazione» [1]: affermazione assolutamente smentita da qualunque scritto di Darwin, il quale semmai era partito nelle sue indagini proprio dall’idea di approfondire la conoscenza di ciò che si riteneva il mirabile disegno della creazione; e che invece fu costretto a seguire (con mille scrupoli di coscienza) un itinerario ben diverso, in forza dell’evidenza dei dati raccolti e della sua onestà morale e intellettuale.
Secondo de Mattei, invece, «quello che chiamiamo evoluzionismo è un insieme composto da una ipotesi scientifica, più propriamente definibile come “teoria dell’evoluzione” e da un sistema filosofico, che possiamo definire evoluzionismo in senso stretto, per distinguerlo dalla teoria dell’evoluzione. […]


Continuate la lettura su UAAR Ultimissime per saperne di più.

Aldo Piombino ha postato, sul suo blog ScienzeeDintorni22 questioni per il professor  De Mattei, con cui lo invita pubblicamente a fornire altrettante risposte sull'evoluzione.

Riporto l'introduzione dell'articolo del dott. Piombino:

E' vero. Non sono un ricercatore universitario, come lo sono invece tanti blogger scientifici. Proprio per questo mi sento libero di rivolgere alcune domande al Vice Presidente del CNR, il Professor Roberto De Mattei, che non solo è un antievoluzionista, ma ha organizzato, come ho già scritto, un convegno contro il darwinismo nella sede del CNR (convegno di cui peraltro non c'è traccia nel sito di questa organizzazione). Sono curioso di sapere come è possibile che oggi, quando l'evoluzionismo regge alla prova dei fatti "al dì là di ogni ragionevole dubbio," un vicepresidenza del Consiglio Nazionale delle Ricerche, continui a contestarlo usando allo scopo i locali di questa organizzazione pubblica, che gli ha pure concesso 9.000 euro per stampare gli atti del suo workshop. Ammetto di essere molto lungo, ma la capacità di sintesi evidentemente non è il mio forte, e gli argomenti da toccare sono troppo vasti. Quindi, Caro Professor De Mattei, La prego di rispondermi o qui direttamente o inviandomi una E-mail al mio indirizzo aldo.piombino@tiscali.it per sapere dove mi ha risposto in modo che i miei 24 lettori ne siano informati.



1. ETÀ DELL'UNIVERSO: la luce viaggia nel vuoto a circa 300.000 km al secondo, come è anche provato dal ritardo nella risposta nelle trasmissioni via satellite e in quelle tra la Terra e i satelliti che esplorano gli altri mondi del sistema solare.

La luce del sole ci arriva più di 8 minuti dopo che è stata prodotta. Ci sono moltissime stelle che sono a una distanza tale che la luce ci ha messo anche oltre 10 miliardi di anni luce per arrivare a noi. Come sarebbe possibile tutto questo se l'Universo non avesse tutti questi anni?

2. CLASSIFICAZIONE DEGLI ESSERI VIVENTI: come Lei ben sa, gli esseri viventi sono raggruppabili in insiemi gerarchici via via sempre più generali. Prendiamo per esempio le capre: sono molto simili fra di loro. Poi, ad un grado un po' superiore, condividono molte caratteristiche con le pecore.
Assieme a pecore, cervidi, bovini, giraffe ed altre forme condividono l'essere ruminanti. E solo questi animali hanno il rumine e le corna.
Se poi le colleghiamo con cammelli, maiali ed ippopotami vediamo come tutte insieme abbiano delle caratteristiche comuni e specifiche: una particolare conformazione degli arti e dita dei piedi in numero pari le cui unghie ispessite formano zoccoli su cui l'animale cammina. Per questo, tali forme vengono inquadrate tutte insieme fra gli “artiodattili”. A loro volta gli artiodattili fanno parte dei mammiferi con le unghie a zoccolo, gli ungulati, assieme ai perissodattili, che hanno dita in numero dispari (attualmente rappresentati solo da cavalli e rinoceronti, mentre nel passato ci sono stati molti altri perissodattili) e agli estinti notoungulati, tipici dell'America Latina.
Tutti gli ungulati condividono con tutti gli altri mammiferi placentati (e solo con essi) altre caratteristiche tipiche ed esclusive di questa sottoclasse: possiedono 7 vertebre cervicali, nutrono l'embrione con la placenta, sviluppano due dentizioni, una giovanile e una definitiva che non viene mai sostituita etc etc.
Come e soltanto come gli altri appartenenti alla classe dei mammiferi (marsupiali e monotremi), i placentati hanno la capacità di regolare la propria temperatura corporea, sono ricoperti da peli e non da scaglie come gli altri vertebrati, hanno gli arti con i femori verticali (escluso l'ornitorinco), un solo arco aortico e la prole all'inizio della sua vita è nutrita dal latte materno.

Mammiferi, rettili, uccelli, e anfibi condividono a loro volta una serie di caratteristiche: hanno 4 arti (tranne alcune forme che ne hanno persi una coppia o tutte e due), respirazione polmonare e un piano corporeo piuttosto simile. Tutti tranne i mammiferi hanno 2 archi aortici. Con i pesci condividono una struttura formata da una colonna vertebrale.

Con i tunicati e gli anfiossi condividono la presenza di un cordone che contiene i fasci nervosi. Pertanto vertebrati, tunicati ed anfiossi sono uniti nel phylum dei Cordati.

Questo ragionamento si può fare a partire da qualsiasi altra specie vivente, almeno fino al livello del phylum: mancano ancora alcune relazioni fra i vari phyla (nel cammino della Scienza c'è c'è ancora tanto da scoprire) anche se è chiara a sua volta la distinzione in protostomi e deuterostomi (nell'embrione dei primi si sviluppa prima l'ano, in quello dei secondi la bocca).

Come può spiegarmi questa ramificazione dei viventi in modo diverso da quello evolutivo?

Continuate a leggere le altre 20 domande
poste al professor De Mattei.

Come fisico e persona che ha a cuore le sorti della Scienza non posso che unirmi all'invito di Aldo Piombino.
Mi auguro che vogliate essere in tanti a partecipare a questa iniziativa.

Alla fine del post, su ScienzeeDintorni,
è disponibile l'indirizzo di posta elettronica del professore De Mattei.

mercoledì 27 gennaio 2010

Giorno Della Memoria 2010: Non Solo Shoah...

Cari ragazzi e cari lettori, domani è il Giorno della Memoria, dedicato alla Shoah ebraica.

Sessantacinque anni fa, il 27 gennaio 1945, venivano aperti i cancelli di Auschwitz. Le immagini che apparvero agli occhi dei soldati sovietici che liberarono il campo, sono impresse nella nostra memoria collettiva. Ad Auschwitz, come negli innumerevoli altri campi di concentramento e di sterminio creati dalla Germania nazista, erano stati commessi crimini di incredibile efferatezza. Tali crimini non furono commessi solo contro il popolo ebraico e gli altri popoli e categorie oppressi, ma contro tutta l’umanità, segnando una sorta di punto di non ritorno nella Storia. [Fonte]

In virtù di tale considerazione, penso che sia giusto ricordare l'Olocausto, ma ritengo anche doveroso non dimenticare gli altri genocidi e olocausti del mondo e della storia.

martedì 26 gennaio 2010

Scientificando Ha Superato Oggi Mezzo Milione Di Accessi

Cari ragazzi e cari lettori, tra quattro mesi Scientificando compirà tre anni da quando è nato. "Fare Scienze giocando...ma non troppo" era, ed è, uno degli scopi del suo esistere. All'epoca non avrei mai immaginato che questo piccolo blog didattico sarebbe pian piano cresciuto nel tempo.

Tenuto conto che alla fine del secondo anno gli accessi  raggiungevano appena quota 100000, il resto è venuto negli ultimi otto mesi! Ancora stento a crederci. Ciò significa che la Scienza interessa e non poco! Una bella cosa per chi come me cerca di svolgere una seria divulgazione scientifica e di offrire, nello stesso tempo, un supporto ai propri ragazzi anche al di fuori dell'aula.

Forse a qualcuno sembrerà eccessiva questa mia soddisfazione, ma non fa nulla! Quando si lavora sodo, fidando sulle proprie forze, penso sia umano un moto di orgoglio. Ed io ammetto candidamente di essere fiera dei risultati raggiunti dal blog, mio e dei miei ragazzi, che tengono quanto me al loro Scientificando!

E allora: allegria piccoli e continuiamo insieme per questa strada!

Ringrazio gli amici che hanno arricchito nel tempo, con i loro eccellenti articoli, l'offerta di Scientificando, contribuendo alla sua crescita, e spero che vorranno essere ancora al mio fianco in futuro.

E, infine, ringrazio soprattutto voi, piccoli, perché è per voi che questo blog è nato e continua ad esistere.

domenica 24 gennaio 2010

Scienza In Famiglia

Cari ragazzi e cari lettori, riporto dal blog di Marco Fulvio Barozzi, il geniale Popinga, un bellissimo articolo dedicato ad un antico testo di divulgazione scientifica di fine Ottocento: LA SCIENZA IN FAMIGLIA di Louis Figuier ((1819-1894). Leggetelo con attenzione perché merita molto.

Grazie, Pop!



La scienza in famiglia nel 1862


scienza in famiglia - copertina



Il francese Louis Figuier (1819-1894) medico, chimico e professore di scienze naturali, era assai famoso alla fine dell’Ottocento per una serie di libri sul mondo della natura e sulle scoperte della scienza, che vennero tradotti in numerose lingue. Scritti con prosa semplice e attenta, riccamente illustrati da pregevoli incisioni, i libri di Figuier divennero dei classici della letteratura divulgativa scientifica.



Nel 1862 Figuier pubblicò per Hachette di Parigi Le Savant du foyer ou Notions scientifiques sur les objets usuels de la vie, testo originale di merceologia che illustrava i principi scientifici e tecnologici che erano alla base di oggetti, sostanze, apparecchiature e tecniche di uso quotidiano nelle case borghesi. L’opera fu tradotta in italiano e annotata da Carlo Anfosso, medico e naturalista torinese, che aveva frequentato i circoli positivistici della città natale e poi aveva intrapreso la carriera di insegnante di scienze naturali a Venezia, poi a Milano e infine a Roma, al liceo Mamiani, tra il 1905 e il 1918, dove avrebbe organizzato il museo di scienze e il laboratorio. Docente appassionato, lungimirante anticipatore delle mappe concettuali, scrisse molti libri scolastici e di divulgazione (Fantasie scientifiche, 1882, La fisica per ridere, 1906, I mestieri strani, 1911, La Terra e i suoi segreti, 1912, La fisica dilettevole, 1913, La chimica dilettevole, 1923, questi ultimi largamente ispirati dall’opera di Tom Tit, ecc.). Collaborò anche al Giornalino della Domenica di Vamba nel biennio iniziale 1906–1907.



Il testo del Figuier tradotto dall’Anfosso fu pubblicato dall’editore Treves di Milano nel 1876 con il titolo LA SCIENZA IN FAMIGLIA Nozioni scientifiche sugli oggetti comuni della vita, un bel volume di 343 pagine in 4° grande (un formato quasi simile a quello dei moderni fogli A4), e copertina in tela editoriale, arricchito da 325 incisioni nel testo, alcune delle quali a piena pagina. Sono in possesso da pochi giorni di un esemplare in discrete condizioni di conservazione, che mi consente di illustrarne i contenuti.


La scienza in famiglia - Louis Figuier

La prima nota va senz’altro alla prefazione, che riflette il clima culturale nel quale Figuier e il suo traduttore erano immersi. La reazione al predominio della cultura classica è evidente sin dai primi periodi, nei quali l’autore dichiara con ragione che:



In conseguenza del modo d'istruzione che si segue nelle scuole, la nostra generazione è quasi estranea all'elemento materiale ond'è circondata, malgrado l'ordine variatissimo di conoscenze che comprende. Noi abbiamo studiato l'antichità, la letteratura, la storia, e la filosofia della Grecia e di Roma. Siamo perfettamente, iniziati alle imprese di Alessandro e di Cesare, alle gesta di Catone l'antico e di Dionigi il tiranno, e possiamo dire il numero delle galee che erano presenti alla battaglia di Salamina. Conosciamo il valore del sesterzio romano, del talento e della mina d'Egitto, di Corinto e d'Atene. Ma per contro siamo ignorantissimi riguardo alla natura ed alle proprietà dell'aria che ci fa vivere, dell'acqua che beviamo, degli alimenti che soddisfanno alla nostra fame, dei combustibili che c'illuminano e ci riscaldano. Se un bimbo c'interroga col suo sguardo chiaro e fisso sul nostro, semplicemente sopra un oggetto usuale, sulla causa d'un fenomeno fisico comunissimo, quante volte saremo costretti di restare muti alla sua ingenua interrogazione!


Appunto per diffondere nella gioventù quest'ultimo ordine di cognizioni, questo libro è stato scritto. In esso ci proponiamo di dare delle informazioni scientifiche sull'origine, la natura e le proprietà delle sostanze, degli agenti, degli apparecchi usati nella vita ordinaria. Noi introduciamo la scienza nella famiglia; la facciamo sedere al focolare domestico, affinché ci porga la spiegazione dei diversi atti che si compiono nel corso della nostra esistenza.




Tale impostazione sarebbe stata fatta propria dalla scuola italiana dell’epoca liberale, assai meno sensibile alle sirene umanistiche di quanto oggi si pensi. Le odierne critiche alle ingenuità del positivismo sono condivisibili, ma dovrebbero tener conto di quanto esso contribuì alla diffusione delle scienze a livello dell’opinione pubblica (almeno di quella che aveva accesso all’istruzione). La scuola italiana, e la società in generale del nostro paese, pagano tuttora le conseguenze della reazione della cultura idealista elitaria e antiscientifica a questa stagione, rappresentata dalla riforma Gentile del 1923, non a caso considerata da Mussolini “come la più fascista fra tutte quelle approvate dal mio governo” e ben vista in Vaticano e di cui Gramsci sottolineò “il grave torto di separare la scienza dalla tecnica, il lavoro intellettuale da quello manuale”.



La prefazione del Figuier prosegue con l’esposizione degli argomenti trattati nel volume, distribuiti secondo l’ordine per cui “Respirare, nutrirsi, vestirsi, riscaldare ed illuminare il nostro ambiente, reagire contro le influenze fisiche esterne, combattere le malattie eventuali; in questo circolo sono contenute quasi tutte le operazioni e gli atti della vita comune”. Ecco il contenuto dei capitoli nelle parole dell’autore:



Il primo capitolo si occupa dell'Aria atmosferica, della sua composizione, de'suoi effetti sull'uomo e sugli animali.



Nel secondo capitolo, che tratta degli Alimenti, studiamo il pane e le sue numerose varietà, il latte, il burro, il formaggio, le uova. Poi consideriamo le carni, che comprendono le bestie macellate, la selvaggina, il pollame. Di là passiamo ai pesci di mare e d'acqua dolce che servono d'alimento. Vengono quindi i legumi ed i frutti alimentari. Diamo delle informazioni scientifiche sulle diverse specie animali e vegetali che son passati in rassegna.



Il terzo capitolo è dedicato alle Bevande. Qui trova il suo posto la storia dell’acqua, considerata sotto i varii rispetti, fisico, chimico ed economico; quella del vino, della birra, del sidro, ai quali abbiamo aggiunto l'acqua gasosa, liquido che al dì d'oggi tiene un certo posto fra le bevande.



Il quarto capitolo ha per oggetto i Condimenti, sostanze che non sono precisamente dei commestibili, ma che entrano nell'alimentazione come base dei condimenti di cucina. Il sale marino è studiato qui nella sua origine, nelle sue proprietà e nei differenti modi d'estrazione. L'aceto, le spezie, lo zucchero, il cioccolatte, sono esaminati rispetto sia alla scienza, sia all'industria.



Il capitolo quinto abbraccia lo studio delle differenti sostanze che s'impiegano pegli usi della teletta [toeletta, NdR]: sapone, pomate, pettine, acque d'odore e profumi.



Lo studio delle materie tessili componenti i Vestiti ed i Tessuti, e che forma la materia del sesto capitolo, presentava molte difficoltà per un'esposizione elementare.

Per introdurre qualche chiarezza in questo complicato soggetto, abbiamo diviso in tre gruppi i tessuti serventi a fabbricare le stoffe dei vestiti o d'ornamento : 1° le tele, 2° le lane, 3° le seterie. Parlando delle tele consideriamo successivamente il cotone, la canapa ed il lino, e facciamo conoscere i processi che servono nell' industria a trasformare in tessuti queste materie vegetali. Nelle lanerie, descriviamo la fabbricazione de'panni e delle stoffe di lana: nelle seterie, diamo un'idea delle differenti operazioni che compongono la bella industria della fabbricazione della seta.

In aggiunta al capitolo dei tessuti e dei vestiti, abbiamo posto la storia del cuoio e quella del cautsciù, materie essenziali alla fabbricazione delle calzature e d'altri oggetti di vestiario.



I capitoli settimo ed ottavo sono dedicati alla descrizione degli apparecchi o strumenti che servono a darci calore e luce. Riguardo al riscaldamento, consideriamo a parte i camini, le stufe, i camini-stufe ; il riscaldamento col gas e coi caloriferi.



Le sostanze minerali, i minerali ed i metalli forniscono preziosi strumenti all'economia domestica. Il capitolo nono, intitolato: i Minerali utili ed i Metalli usuali, ha per iscopo di far conoscere le specie minerali e metalliche che rendono i maggiori servigi all’uomo. Li abbiamo divisi in tre gruppi : pietre, corpi combustibili e metalli.



II decimo capitolo ha per titolo: i Giojelli, le Monete e le Pietre preziose. Le cognizioni scientifiche acquistate dal lettore nei precedenti capitoli, trovano le loro applicazioni nello studio delle monete, la composizione ed il valore delle quali devono essere note a tutti; nello studio dei gioielli e delle pietre preziose che compongono gli ornamenti personali o servono a decorare le abitazioni.



Nell'undecimo capitolo, si tratta degli Eccitanti, cioè delle sostanze usate da tutti i popoli antichi e moderni, e che producono l'effetto di risvegliare e stimolare il sistema nervoso. Il tabacco, il caffè, il thè, le diverse acqueviti ed i liquori sono gli eccitanti che passiamo in rassegna, sono i più sovente usati nella società attuale.



Abbiamo distribuito in dodici gruppi gli agenti principali cui ricorre la medicina, e che noi studiamo nell'ultimo capitolo sotto il titolo di Medicamenti. Questi dodici gruppi sono: i narcotici, i tetanici, i sedativi, i purganti, gli emetici, i diuretici, i sudorifici, gli emollienti, gli stimolanti, gli astringenti, i tonici ed i modificatori.



Tale è il complesso delle nozioni che, abbraccia la scienza in famiglia. 325 figure eseguite colla massima cura, completano ed animano le nostre descrizioni. Saremo lieti se quest'opera modesta sveglia in alcune giovani menti il gusto delle scienze positive, e sopratutto se giova a dare ai nostri lettori delle nozioni precise sopra soggetti troppo trascurati nella educazione. (…)



Riporto l’ottavo capitolo, quello dedicato agli apparecchi di illuminazione, che ancora non considera l’uso dell’elettricità: il brevetto della prima lampada ad incandescenza sarebbe stato registrato da Edison solo nel gennaio del 1880, come suo solito senza riconoscere che l’invenzione non era sua. Di tutte le altre materie trattate da Figuier avrò modo di parlare in altri articoli, sulla base delle reazioni e degli interessi dei lettori.


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VIII.



GLI APPARECCHI DI ILLUMINAZIONE



L'olio abbruciato nelle lampade, il sego o l’acido stearico modellati in candele, il gas fornito dalla decomposizione del carbon fossile, infine liquidi combustibili conosciuti sotto il nome di idrocarburi, tali sono i diversi prodotti che servono all'illuminazione, pubblica o privata. La storia abbreviata e la descrizione dei varii istrumenti e sistemi ai quali l'uomo è ricorso per procacciarsi una luce artificiale fu già esposta in altri volumi di questa collezione che trattano delle grandi invenzioni. Qui considereremo in modo generale la questione dell'illuminazione, portando la nostra attenzione sullo studio fisico e chimico della fiamma, nella quale sta tutta la potenza dell'illuminazione.



Che cosa è la fiamma? Dice la chimica che è un gaz riscaldato sino al punto di divenir luminoso. Tutti i corpi, qualunque sia il loro stato fisico, diventano luminosi, cioè si trovano incandescenti, allorché sono portati o mantenuti ad una temperatura sufficientemente elevata. Allorché un gas è molto riscaldato, si arroventa: da invisibile, che era, se incolore, diviene visibile e luminoso, ed allora forma la fiamma.



La temperatura rossa dei corpi gassosi, cioè quella della fiamma, è superiore al calore bianco dei corpi solidi. Volete provarlo? avvicinate alla fiamma d'una lampada un filo di platino o d'amianto, e prima di toccar la fiamma questo filo diventa rosso, ossia s'arroventa. Se fate arroventare al calore un tubo di vetro, e fate passare una corrente d'aria attraverso questo tubo, l'aria non s'arroventa; ma se proiettate allora dei corpi solidi in quest'aria oscura, que' corpi solidi diventano incandescenti; il che prova che: il grado di temperatura che basta per produrre l'incandescenza d'un corpo solido, è insufficiente a produrre l'incandescenza d'un gas, o, in altri termini, che la temperatura della fiamma è superiore al calor bianco dei corpi solidi.



La luce essendo l'effetto d'un accumulamento di calorico, pare, a priori, che quanto più un gas abbruciando sviluppa calore, tanto più deva essere luminoso; in altri termini, che una fiamma deva essere tanto più risplendente quanto più è calda. Ma l'esperienza insegna che questa relazione non è fondata. Ciò che produce sovratutto lo splendore d'una fiamma, è il deposito fatto nel suo interno, d'un piccolo corpo solido; in questo caso, il corpo solido divenendo luminoso aggiunge il suo proprio splendore a quello della fiamma.



In appoggio di questo principio, citiamo alcuni fatti.



L'idrogeno è di tutti i gas quello che, abbruciando, sviluppa la maggior quantità di calore: eppure la fiamma del gas idrogeno è appena visibile: dipende da ciò, che il prodotto della combustione del gas idrogeno è il vapore d'acqua cioè una sostanza non solida. L'alcool produce, abbruciando, una temperatura molto elevata; tuttavia la fiamma dell'alcool è estremamente pallida, poiché, durante la sua combustione, il suo idrogeno ed il suo carbonio abbruciano intieramente senza lasciare residuo solido. L'etere solforico abbrucia con una fiamma splendida, perché esso contiene più carbone che l'alcool, ed una parte del carbonio non abbruciato si deposita nell'interno della fiamma.



Il fosforo abbruciando diffonde per l'aria uno splendore straordinario, perché il prodotto della sua combustione è un corpo solido e non volatile, l'acido fosforico. Lo zinco, come il fosforo, abbrucia all'aria con uno splendore straordinario, perché il prodotto della sua combustione, l'ossido di zinco, è un corpo solido e non volatile. Il gas dell'illuminazione è luminosissimo, perché contiene molto carbonio, ed una parte di questo carbonio si deposita nella fiamma; al contrario l'ossido di carbonio brucia con una luce pallidissima, perché tutto il carbonio che contiene, si disperde durante la sua combustione in molecole di un composto gassoso, l’acido carbonico. Tutti questi esempi provano, che lo splendore d'una fiamma non dipende unicamente dalla sua temperatura, ma anche da piccoli corpi solidi che si depositano nel gas in combustione.


scienzainfamiglia4In una fiamma è solamente la superficie esterna del gas che trovasi in combustione ; il rimanente del corpo gassoso è poco riscaldato. In una fiamma (fig. 198) vi sono tre spazii, tre zone, di diversa temperatura; la zona interna A è affatto oscura; essa è formata dal gas o dai vapori del corpo grasso che dileguano nella combustione, poiché i gas essendo cattivi conduttori del calorico, il calore della zona esteriore non penetra più sino a questo strato. Per questo motivo la zona interna A e oscura ed appena calda. Ciò si prova introducendo nell'interno di questo spazio un po' di polvere da fuoco raccolta in un piccolo cucchiaio e assicurata in questo con un piccolo coperchio, che si ritirerà dopo aver introdotta la polvere nel centro della fiamma; questa polvere si conserverà senza abbruciare. La zona esterna C è quella che raggiunge il più elevato grado di temperatura; difatti è la parte che trovasi da tutte le parti a contatto dell'aria, e che per conseguenza subisce una combustione completa. Qui la temperatura è elevatissima, ma il grado di splendore è debole, perché tutto il carbonio è consumato abbruciando, e nel centro della fiamma non si deposita alcun corpo solido che possa dargli splendore. La zona di mezzo B è meno calda della zona esterna, perché l’aria non vi penetra che in parte, e la combustione è incompleta: ma considerevole è il suo potere illuminante, il suo grado di splendore, perché, a causa appunto di quest'incompleta combustione, un corpo solido, cioè il carbonio, si deposita in questa parte della fiamma, il che la rende luminosa.

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Da che proviene la forma conica che presentano tutte le fiamme? Essa proviene da ciò, che il corpo che abbrucia è un gas, ovverossia dei vapori combustibili che sfuggono dal corpo grasso che impregna lo stoppino. Il gas che, sviluppandosi, traversa la zona infiammata, abbrucia in questo punto continuando sempre a sollevarsi nell'aria: ma a misura che s'innalza, la combustione, che subisce, lo diminuisce di volume ad ogni istante; questa specie di cilindro di vapori combustibili va sempre più riducendosi, il suo diametro continua a diminuire o termina a punta. Da ciò, la forma conica sotto la quale appaiono tutte le fiamme.



Tenendo una campana di vetro od un bicchiere, al disopra d'una fiamma, sia fiamma di lampada, o di candela, o di gas, ecc., bentosto scorgerete che le pareti interne del vaso si ricoprono d'acqua liquida. Perché? perché i prodotti risultanti dalla combustione delle materie che ci danno l'illuminazione, sono l'acido carbonico ed il vapore d'acqua: in questa esperienza l'acido carbonico, corpo gassoso, si spande per l'aria senza lasciar traccia alcuna: ma. il vapore d'acqua, incontrandosi con un corpo freddo, vi si condensa, e produce nell'interno del vaso di vetro le piccole gocciole che avete osservate.



Varie sostanze danno alla fiamma un colore speciale : i sali di stronziana la colorano in rosso, i sali di rame in colore azzurro, i sali di barite in giallo verdastro, l'acido borico in verde. Mescolando questi sali nei fuochi artificiali ne escono fuochi di color rosso, azzurro, ecc. L'abilità del pirotecnico sta nel disporre saviamente ed acconciamente questi sali per dare alle fiamme svariati colori.


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Una fiamma, quando i vapori combustibili si sviluppano senza essere intieramente consumati, diviene fumosa. Quest'inconveniente succede sovratutto nella candela e nelle lampade mal costrutte. La candela fuma, perché lo stoppino, mutato in una massa voluminosa di carbone, sta nell’interno della fiamma; questo corpo estraneo, voluminosissimo, posto in mezzo alla fiamma, ne abbassa continuamente la temperatura; quindi i vapori del corpo grasso non sono abbruciati completamente; il fumo che apparisce è l'effetto di questa combustione incompleta. Le lampade munite d'un tubo-caminetto di vetro, diventano fumose, se la corrente d'aria, provocata da questo tubo-caminetto, è troppo debole per l'intiera combustione del corpo grasso.



A noi basti questo sguardo generale sulla fiamma sotto il rispetto chimico. Queste considerazioni, per essere applicate a tutti i casi speciali dell’illuminazione, richiederebbero uno sviluppo maggiore di quanto possano concedere i limiti di questo libro.





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sabato 23 gennaio 2010

The Known Universe

Cari ragazzi e cari lettori, ecco un vera chicca!

Librandosi sull'Everest e le gole che precipitano nel Gange, si è trascinati, attraverso l'atmosfera terrestre,  a intravedere il nero inchiostro dello spazio, al di sopra dell’alto deserto  del Tibet.  Così inizia The Known Universe, un nuovo straordinario film, prodotto dall’
AMNH American Museum of Natural History, che fa parte di una nuova mostra,  “Visions of the Cosmos:  From the Milky Ocean to an Evolving Univers “, presso il Rubin Museum of Art in Manhattan. Il video è stato annunciato ufficialmente dall’AMNH,  il 15 dicembre 2009.

giovedì 21 gennaio 2010

Avatar: Un Film Importante E Che Dà Da Pensare?

Avrete sentito parlare di Avatar, il discusso film di James Cameron che sta spopolando dal 15 gennaio nelle sale di proiezione. Ebbene, mi ha colpito un articolo dedicato che ho letto ieri su Terranauta*, così, su gentile concessione della Redazione (che ringrazio), lo riporto integralmente su Scientificando.

Non esprimo le mie considerazioni perché mi interessa conoscere il vostro punto di vista spontaneo!


*********


“Concordo con i critici sul fatto che Avatar è grossolano, stucchevole e banale. Ma esso ci parla di una verità più importante — e più pericolosa — di quelle contenute in mille film indipendenti”.


avatarAvatar
, lo strepitoso film in 3-D di James Cameron, è profondo e al tempo stesso profondamente insulso. Profondo perché, come la maggioranza dei film sugli alieni, è una metafora sul contatto fra culture diverse. Ma in questo caso la metafora è cosciente e precisa: questa è la storia dello scontro fra gli Europei e le popolazioni native dell’America. È anche profondamente insulso perché architettare un lieto fine richiede un impianto narrativo così stupido e prevedibile da far perdere di vista il pathos intrinseco del film. La sorte dei nativi americani è molto più aderente a quel che la storia racconta in un altro recente film, The Road, nel quale i sopravvissuti fuggono in preda al terrore, votati come sono all’estinzione.

Ma questa è una storia che nessuno vuole sentire, poiché rappresenta la sfida al modo in cui noi scegliamo di essere noi stessi. L’Europa è stata massicciamente arricchita dai genocidi nelle Americhe; e sui genocidi si fondano le nazioni americane. Questa è una storia che non possiamo accettare.


Nel suo libro American Holocaust, lo studioso statunitense David Stannard documenta i maggiori episodi di genocidio di cui il mondo abbia mai avuto conoscenza. Nel 1492, nelle Americhe vivevano all’incirca 100 milioni di nativi. Alla fine del XIX secolo, quasi tutti erano stati sterminati. Molti di loro erano morti a causa delle malattie. Ma l’estinzione di massa era stata accuratamente progettata.


Quando gli Spagnoli arrivarono nelle Americhe, descrissero un mondo che difficilmente avrebbe potuto essere più diverso dal loro. L’Europa era devastata dalle guerre, dall’oppressione, dalla schiavitù, dal fanatismo, dalle malattie e dalle carestie. Le popolazioni che gli Spagnoli incontrarono erano sane, ben nutrite, pacifiche (con qualche eccezione come gli Aztechi e gli Inca), democratiche ed egalitarie. Da un capo all’altro delle Americhe i primi esploratori, compreso Colombo, sottolinearono la straordinaria ospitalità dei nativi. I conquistadores furono affascinati dalle costruzioni mirabili — strade, canali, edifici — e alle opere artistiche che trovarono laggiù, e che in alcuni casi superavano di gran lunga qualsiasi cosa essi avessero mai visto in patria.


Niente di tutto questo li trattenne dal distruggere tutto e tutti sul loro cammino.


La mattanza ebbe inizio con Colombo.colombo Fu lui a massacrare la popolazione di Hispaniola (ora Haiti e Repubblica Dominicana) servendosi di mezzi incredibilmente brutali. I suoi soldati strappavano i bambini dalle braccia delle madri e ne spaccavano la testa contro le rocce. Davano in pasto ai loro cani da guerra bambini vivi. Una volta impiccarono 13 Indiani in onore di Cristo e dei suoi 12 apostoli, «ad un patibolo lungo, ma abbastanza basso da permettere alle dita dei piedi di toccare il terreno evitando lo strangolamento […]. Quando gli indiani furono appesi, ancora vivi, gli spagnoli misero alla prova la loro forza e le loro spade, li squarciarono in un solo colpo facendo fuoriuscire le interiora, e c’era chi faceva di peggio. Poi gettarono intorno della paglia e li bruciarono vivi» [cit. da Bartolomé de Las Casas, History of Indies, trad. e cura di Andree Collard, Harper&Row, New York 1971, p. 94, in: David E. Stannard, Olocausto americano. La conquista del Nuovo Mondo, Bollati Boringhieri 2001, p. 136 — nota mia].


Colombo ordinò che tutti i nativi consegnassero un certo quantitativo di oro ogni tre mesi: ogni volta che qualcuno non lo faceva, gli venivano mozzate le mani. Nel 1535 la popolazione nativa di Hispaniola era passata da 8 milioni a zero: una parte delle perdite era dovuta alle malattie, una parte alle uccisioni, ma la maggioranza era dovuta alla morte per fame.


I conquistadores dispiegarono la loro missione civilizzatrice nell’America centrale e meridionale. Quando non riuscivano a rivelare dove fossero nascosti i loro mitici tesori, gli indigeni venivano frustati, impiccati, affogati, squartati, sbranati dai cani, sepolti vivi o bruciati. I soldati tagliavano i seni delle donne, rimandavano i nativi ai loro villaggi con le mani e i nasi mozzati appesi attorno al collo a mo’ di collana, e cacciavano con gli Indiani con i loro cani per sport. Ma moltissimi vennero uccisi dalla schiavitù e dalle malattie.


Gli Spagnoli scoprirono che era più conveniente far lavorare gli Indiani fino alla morte e poi rimpiazzarli, piuttosto che tenerli vivi: l’aspettativa di vita nelle miniere e nelle piantagioni andava dai tre ai quattro mesi. Nel giro di un secolo dal loro arrivo, circa il 95% della popolazione dell’America Centrale e Meridionale era stata annientata.


Nel corso del XVIII secolo, in California, gli Spagnoli sistematizzarono questo sterminio. Il missionario francescano Junipero Serra impiantò una serie di “missioni”: si trattava in realtà di campi di concentramento che utilizzavano il lavoro degli schiavi. I nativi erano raggruppati a forza in squadre e fatti lavorare nei campi, con un quinto delle calorie concesse agli schiavi afro-americani nel XIX secolo. Morivano di stenti, di fame e di malattia con spaventosa rapidità, e venivano continuamente rimpiazzati liquidando così le popolazioni indigene. Junipero Serra, l’Eichmann della California, è stato beatificato dal Vaticano nel 1988. Adesso gli manca soltanto di aver operato un miracolo per essere fatto santo.


jeffersonMentre gli Spagnoli erano guidati soprattutto dall’avidità e dalla brama di oro, gli Inglesi che colonizzarono il Nord America volevano la terra. In New England essi accerchiarono i villaggi dei nativi americani e ne massacrarono gli abitanti mentre dormivano. Mentre dilagava verso occidente, il genocidio veniva giustificato e sostenuto ai massimi livelli. George Washington ordinò la totale distruzione degli insediamenti e della terra degli Irochesi. Thomas Jefferson dichiarò che le guerre della sua nazione contro gli Indiani sarebbero proseguite finché ogni tribù non fosse stata «sterminata o sospinta al di là del Mississippi».


In Colorado, nel corso del massacro di Sand Creek, nel 1864, truppe paludate sotto bandiere di pace trucidarono gente disarmata, uccidendo bambini e neonati, mutilando i corpi e strappando alle vittime i genitali per farne borse da tabacco o appenderli come ornamento ai loro cappelli. Theodore Roosevelt definì questo evento «un’azione legittima e giovevole come quelle che accadevano solitamente sulla frontiera».


La mattanza non è finita: il mese scorso il Guardian riportava che in Amazzonia occidentale dei rancheros brasiliani, dopo aver ridotto in schiavitù parte dei membri di una tribù della foresta, avevano tentato di uccidere i superstiti.


Cionondimeno, i più grandi atti di genocidio della storia difficilmente turbano la nostra coscienza collettiva. Forse è questo che sarebbe accaduto se i Nazisti avessero vinto la seconda guerra mondiale: l’Olocausto sarebbe stato negato, giustificato o minimizzato nello stesso modo, e continuato. Le nazioni responsabili — Spagna, Gran Bretagna, Stati Uniti ed altri — non accetteranno il confronto, ma le soluzioni finali perseguite nelle Americhe sono state di gran lunga più efficaci. Coloro che le commissionarono o le avallarono sono e restano eroi nazionali o religiosi. Coloro che cercano di stimolare la nostra memoria sono ignorati o condannati.


avatar1Questo è il motivo per cui c’è chi odia Avatar. Sul Weekly Standard, John Podhoretz lamenta che questo film assomiglia a uno di quei «western revisionisti» in cui «gli Indiani diventano bravi ragazzi e gli americani teppisti» . Dice anche che questo spingerà gli spettatori a «fare il tifo per la disfatta dei soldati americani per mano dei ribelli». Ribelli è una parola interessante per definire il tentativo di resistere ad un’invasione: ribelle, come selvaggio, è il termine con cui definiamo qualcuno che ha qualcosa che noi vogliamo.


L’Osservatore Romano, ha bollato il film come «nient’altro che una parabola anti-imperialistica e anti-militaristica» .


Sul New York Times il critico liberal Adam Cohen celebra Avatar perché difende il bisogno di sapere la verità.


Esso rivela, dice lui, «il ben noto principio del totalitarismo e del genocidio — che è più facile opprimere quelli che non vediamo». Ma con meravigliosa e inconscia ironia egli deforma l’ovvia dirompente metafora, e sostiene che il film prende di mira le atrocità naziste e sovietiche. Siamo diventati tutti esperti nella nobile arte di non vedere.


Concordo con i critici sul fatto che Avatar è grossolano, stucchevole e banale. Ma esso ci parla di una verità più importante — e più pericolosa — di quelle contenute in mille film indipendenti.


Articolo di George Monbiot tratto da guardian.co.uk




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*Terranauta nasce dall’unione di Terra e Nauta. Con la prima parola abbiamo voluto focalizzare l’oggetto delle nostre attenzioni: il nostro Pianeta, Madre Terra. Studiare la Terra significa studiarne gli equilibri, le leggi, i capricci. Ma significa anche interrogarsi sulla sua natura e sui suoi frutti. Con la seconda parola, invece, abbiamo voluto indicare i soggetti delle nostre attenzioni, i veri protagonisti: l’Uomo, la Donna e gli altri Animali. Nauta, quindi, sta per cosmonauta, il viaggiatore dello spazio reale, ma anche per internauta, il viaggiatore dello spazio virtuale.

L’essere vivente, quindi, al centro degli studi. La Terra come contesto, come luogo in cui il primo si muove. Questa è la chiave con la quale interpretare il nostro lavoro. I nostri articoli, i nostri video, i servizi che offriremo, andranno interpretati come le diverse tappe di questo unico grande viaggio.


Il comitato scientifico di Terranauta.

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